actaris ha scritto: |
Riporto dall'home page della Stampa di oggi un articolo di Galeazzi e Quesitonio:
Scout, il branco resta senza capi Allarme dei cattolici dell’Agesci: calano le “vocazioni” degli educatori GIACOMO GALEAZZI, PIER FRANCESCO QUESITONIO ROMA Crisi di vocazioni tra i capi scout: l’associazione cattolica Agesci perde i suo i «quadri». A Torino chiude un gruppo scout all’anno. Un’emergenza condivisa su scala nazionale dal movimento che sta soffrendo un po’ ovunque per un netto calo di adesioni alla classe dirigente dello scautismo. L’impegno richiesto ai capi educatori è faticoso. Lontano dalla mondanità, costante e quotidiano e troppo spesso non conciliabile con il lavoro e la vita privata. Se a 21 anni, in media, i ragazzi concludono il loro percorso formativo nello scautismo e scelgono di cominciare quello da educatori scout, a 24 in molti decidono di abbandonare del tutto. Travolti da nuove esperienze, studi all’estero, soprattutto, e svaghi di ogni tipo, e dal mondo del lavoro più difficile da gestire e progettare rispetto ad alcuni anni fa. Emblematico il caso torinese. I numeri parlano, a Torino, di nove gruppi chiusi dal 1998 al 2008. Tre sono spariti, e assorbiti da altri gruppi dello stesso quartiere, mentre gli altri sei si sono fusi, creandone tre nuovi. Dei 30 gruppi del 1998, ne sono rimasti 24. E’ sceso anche il numero dei ragazzi censiti nei gruppi che da 3100 del 1998 è passato a 2500, di cui 360 capi educatori. Le «zone», ovvero le sovrastrutture associative che comprendono i gruppi scout, fino al 1995 erano quattro. Una per ogni punto cardinale, e raccoglievano anche tre gruppi dell’hinterland. Nel ‘98 sono state unificate nella Zona Metropolitana. «Occuparsi di ragazzi più giovani è un impegno gravoso che richiede una convinzione forte - osserva il “patrono” dello scautismo in Curia, il vescovo torinese Renato Boccardo, 54 anni, segretario generale del Governatorato vaticano, assistente religioso di campeggi degli scout, soprattutto sui monti di Quibolar, vicino Bardonecchia -. Nell’odierna società individualista e deresponsabilizzante cresce la titubanza e l’esitazione di fronte all’impegno di farsi carico dell’educazione degli altri. Così magari si preferisce la pizza con gli amici ai due, tre incontri settimanali all’Agesci». A fare concorrenza non sono solo gli impegni di studio, lavoro, famiglia ma anche le esperienze formative all’estero come l’Erasmus. «Sono formule più finalizzate al singolo, mentre il capo scout impara a stare con gli altri, aiuta a crescere mentre cresce lui stesso - precisa il vescovo Boccardo -. Questa interazione ricompensa dei sacrifici e educa al senso di responsabilità, alla generosità, alla gratuità, ai valori dimenticati. La “crisi vocazionale” è dovuta al timore delle responsabilità verso i più giovani e all’impegno nella comunità capi». E proprio la mancanza di vocazioni per svolgere «il mestiere del capo» come lo chiamava, non a caso, il fondatore Robert Baden Powell, a preoccupare. La contromossa adesso è fare di necessità virtù», secondo il principio «meno capi, ma più bravi». «La flessione di questi anni - afferma Federico Savia, responsabile della Zona metropolitana - è figlia di una crisi generale dell’associazionismo e si spiega soltanto in parte con la chiusura dei gruppi. Le richieste di ingresso dei ragazzi nei gruppi aumentano tutti gli anni». Ci sono alcuni gruppi scout che hanno liste di attesa lunghe anni. I genitori iscrivono i loro figli nel «branco» a tre anni per sperare di avere un posto quando il pargolo compirà l’età minima, 8 anni. «Fare il capo educatore scout è impegnativo - continua Savia - è una scelta di sacrificio. Lo scautismo non è superficiale, occorre dedicare tempo per la progettazione del lavoro con i ragazzi, per seguire la loro crescita, per mantenere costanti i rapporti con le famiglie». Una proposta che a Torino lo scautismo vuole offrire concretamente alla città attraverso un maxi-progetto con il comune. La realizzazione di un’area verde attrezzata, intitolata a Baden Powell e gestita dagli scout, da utilizzare come spazio di incontro e di attività. Un’area, adiacente al futuro Parco Dora, sulle sponde del fiume all’altezza dell’ospedale Amedeo di Savoia, dove sarà anche autorizzato il campeggio e potrebbe diventare una delle tappe della futura via Francigena, in attesa dell’ostensione della Sindone. Se ne parlerà giovedì in consiglio comunale. E’ torinese anche la presidente del comitato nazionale dell’Agesci, Paola Stroppiana, medico del Mauriziano. «La situazione di Torino è simile a quella delle grandi città italiane - ammette - mentre nelle province e nel Centro Sud la situazione è decisamente migliore. A livello nazionale ci sono 180 mila censiti: il numero dei capi, purtroppo tende a diminuire». La crisi di vocazioni è evidente. «L’associazione chiede che i capi educatori abbiano concluso i due campi scuola del loro iter di formazione e certamente gli impegni per un educatore scout sono notevoli. Numerose riunioni settimanali, la rinuncia alle proprie ferie per andare ai campi estivi, garantire disponibilità e continuità almeno annuale. Questo spaventa - puntualizza -. E’ impopolare oggi, impegnarsi per gli altri. Lo scautismo fa scoprire che la felicità è fare la felicità degli altri». Che ne dite? |
Raffaele Natale ha scritto: |
Inoltre la nostra Co.Ca. è molto anziana, nel senso che avere 45 anni significa essere uno dei più giovani... |
rinoceronte caparbio ha scritto: |
b'è, se tu capo (impersonale) vai alle riunioni di squadriglia, oltre a darti dell'idiota, ti dico che sbagli proprio metodologicamente. |
paciock87 ha scritto: |
sul fatto che prima era diverso, prima era tutto più semplice, ma mi spiace dire che i tempi erano diversi... Le leggi erano meno restrittive ei genitori erano meno restrittivi, era tutto più tranquillo... A me me ne frega poco che BP diceva quello, che sarebbe più educativo quell'altro, io, come Capo, devo essere sicuro di fare un servizio sereno, cioè un servizio dove ogni giorno non rischio la galera...
Faccio un esempio: prima, almeno dai racconti di mio padre e di vecchi capi, si facevano molte riunioni di squadriglia senza Capi in sede, senza neanche avvisarli, molti gruppi tutt'ora lo fanno, ma ora questo non è più fattibile... Perchè se un ragazzo si fa male ed io non c'ero la colpa me la becco io suo Capo, il prete in quanto responsabile dei locali e tutta la Coca... Noi ci dobbiamo tutelare... |
aureliano ha scritto: | ||
Ma chi ha detto che va alle riunioni di sq.? |
paciock87 ha scritto: |
prima, almeno dai racconti di mio padre e di vecchi capi, si facevano molte riunioni di squadriglia senza Capi in sede, senza neanche avvisarli, molti gruppi tutt'ora lo fanno, ma ora questo non è più fattibile. |